Le castagne


La castagna che si coltiva sin da tempi remoti sui monti di Treglia è denominata "ufarella"; è una varietà con caratteristiche particolari rispetto ad altre. Trattasi, infatti, di una tipologia di castagna di dimensioni più piccole con una buccia più lucida e di colore più chiaro; da cruda si lascia sgusciare con estrema facilità e si libera facilmente della pellicina che la ricopre. E' molto gustosa, anche se consumata cruda, e questo la rende particolarmente adatta alla preparazione di diverse varietà di dolci. La castagna trebulana è ricercatezza gastronomica per una serata tra amici in compagnia di un buon bicchiere di vino. A riprova della sua elevata connotazione tradizionale e del suo legame con il territorio di origine, la gustosa castagna locale è stata inserita nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizione (PAT) con la denominazione “castagna ufarella”.

Ieri

L’autunno è tempo di raccolta, non solo dell’uva e dei funghi, ma anche delle castagne. Un frutto la cui storia va di pari passo con quelle delle civiltà che si sono susseguite in Italia e di cui l’uomo si è probabilmente nutrito per millenni. Dette anticamente «Noci di Sardi» o «Noci di Giove» o «Noci in cupola», insieme alle ghiande, le castagne costituirono l’alimentazione primitiva dei protoetruschi anche per la vasta distribuzione della pianta nella zona mediterranea già nell’età del bronzo. Gli Etruschi videro nelle castagne una simbologia di coesione familiare, mentre poi del castagno ne fecero pali per vigne. Con l’Impero Romano la coltivazione della specie si diffuse rapidamente dal Mediterraneo alle vallate alpine, spingendosi spesso fino alla pianura padana.
I celebri trattati sull’agricoltura di Columella (I secolo d.C.) contengono numerose indicazioni per la coltivazione della pianta e sull’uso della paleria di castagno nei vigneti. Così anche le frequenti citazioni contenute nelle opere di autori quali Virgilio e Ovidio testimoniano del peso che il castagneto e la castagna ebbero nell’economia e nella cultura dell’antica Roma. Nelle «Egloghe» virgiliane si ricordano, inoltre, le castagne col latte e col formaggio; cotte a lesso o arrostite sui «luminosi carboni», oppure, ridotte a farina, servivano per fare polentine e schiacciatine.
Ma è nel Medioevo che la castanicoltura da frutto ebbe un grande impulso grazie alla contessa Matilde di Canossa. Il castagno, per secoli, ha sfamato con i suoi frutti generazioni di montanari ed ha costituito la base alimentare delle popolazioni rurali che in esse trovavano rimedio a carestia e povertà. Il suo legname serviva a riscaldare i casolari, a fornire tannino indispensabile nella conciatura delle pelli, lettiera e fogliame per il bestiame, materia prima per costruzioni, paleria ed attrezzi di uso quotidiano. Fornitore di un alimento di primaria importanza, divenne nei secoli «albero del pane» nelle zone in cui maggiore era la pressione demografica. Le castagne sono diventate così un’alternativa ai cereali, come cibo a destinazione prevalentemente popolare, in virtù della facile reperibilità e conservabilità.
Inoltre, il basso prezzo e l’alto valore nutritivo hanno valso al frutto il nome di «pane dei poveri». Ed è proprio in questa lotta per la soppravvivenza che i poveri hanno imparato ad utilizzare e cucinare le castagne nei più svariati modi. Arrostite o bollite in acqua o latte, sostituivano, specialmente in montagna, il pane; calde si consumavano con latte o vino come minestra; macinate, costituivano sfarinati da impiegare come succedanei delle più costose farine di cereali nella preparazione di polenta, puree, focacce, castagnacci, zuppe.

Oggi

Ma le castagne trovano un notevole successo anche ai giorni nostri perché rispondono alle esigenze dei consumatori orientati sempre di più verso una sana alimentazione. Frutti nutrienti e digeribili, soddisfano la richiesta di cibi naturali e genuini derivando da una coltura che, in determinate zone, non richiede uso di fitofarmaci e rispetta pienamente i canoni dell’agricoltura biologica. Dal punto di vista nutrizionale sono simili al frumento e al riso e perciò sono stati definiti "il cereale che cresce sull’albero".
Molteplici sono i principi nutritivi delle castagne da cui derivano le loro qualità terapeutiche. Alta è la percentuale di amido contenuta (22,3 per cento del peso), un carboidrato complesso che in genere è assente in tutta la frutta fresca, mentre scarsa è quella dell’acqua, che abbonda invece negli altri vegetali (51,9 per cento del peso). Ma le castagne sono delle ottime fonti di calorie: 100 g di caldarroste forniscono 193 calorie, bollite 120, secche 287. Inoltre, rappresentano una preziosa fonte di vitamine e sali minerali, in particolare di potassio, che aiuta a regolarizzare la pressione, di fosforo, ferro e calcio. Quanto alle vitamine, contengono alte percentuali di B1, B2 e PP (o niacina), indispensabili per trasformare i nutrienti in energia. Sono invece completamente assenti le vitamine A e C.
Le castagne, inoltre, per il loro elevato contenuto di fibra (7,3 g ogni etto quelle fresche, 13,8 g quelle secche) sono consigliate a chi soffre di stipsi e svolgono un’azione lassativa naturale. Dal momento che possono scatenare gonfiore e meteorismo, è consigliabile non consumarle troppo di frequente. Infatti, la castagna contiene zuccheri particolari che gli enzimi digestivi non riescono a demolire: così entrano in azione alcuni batteri presenti nell’intestino, che “degradano” questi zuccheri producendo gas. E per ridurre l’inconveniente è preferibile bollirle. Per queste loro caratteristiche sono un alimento adatto nei casi di carenza di vitamine e debilitazione, per i convalescenti, gli anemici, gli sportivi e per i bambini che hanno bisogno di un po’ di energia in più.
Non vanno sottovalutate neppure le proprietà antidiarroiche dei decotti ottenuti dal frutto e dalla buccia della castagna, e quelle sedative della tosse dell’infuso ottenuto con le foglie. E’ consigliato invece un consumo controllato soprattutto i diabetici e i sofferenti di fegato.